Ricordi di film visti in viaggio
Giampiero Comolli
Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2005 – €. 14,00.
di Fabio Matteuzzi
All’inizio del terzo capitolo di questo curioso resoconto di visioni di cinema marginale avute casualmente o quasi nel corso di anni di viaggi in qualità di giornalista (tra Europa ed Oriente), Comolli mette le mani avanti: «È meglio chiarirlo subito: non dispongo di conoscenze sufficienti, neanche a livello amatoriale, per decifrare il linguaggio cinematografico. Sono solo un fruitore passivo, anche se assiduo, di pellicole di largo consumo. Quando non mi trovo in viaggio, mi piace «andare al cinema», e ci vado spesso. Ma mi limito a frequentare le prime visioni, quelle che si danno nelle grandi sale.» (pag. 31). Poi di fatto ci conduce, ma aveva già iniziato a farlo, in un mondo veramente singolare, in cineclub o piccole sale più o meno improvvisate all’interno di mercati delle grandi megalopoli d’Oriente, oppure in locali adiacenti ad antichi templi buddisti in cui ha modo di vedere film che neanche il critico specializzato può avere visto, scopre il fascino di una visione cinefila che forse anche da noi si è persa, la cinefilia non degli specialisti, ma dei curiosi, in qualche modo flaneur.
Vede film amatoriali, ha modo di vedere in occasioni diverse film di autori che neanche i più aggiornati testi e cataloghi che fanno il punto sulla situazione di cinematografie emergenti, quale quella di Hong Kong, ad esempio, riportano, sperimenta come all’interno di film mediocri possa comunque essere presente in maniera forte, al punto da permettergli di tornare e ritornare più volte a distanza di anni da quelle lontane proiezioni, una sequenza particolarmente significativa, capace di colpire e di fare ricordare il nome di quel regista sconosciuto. Insomma il piacere di uno sguardo che scopre cose “mai viste prima” con quel gusto grazie a cui ognuno di noi si è avvicinato per la prima volta al cinema, quando era ragazzo. Ebbene qui il cinema è, appunto, marginale. Le sale, spesso, sono improvvisate, addirittura appartamenti. Proprio da queste pellicole, in questi luoghi, si mantiene il fascino dello spettacolo cinematografico.
Qui Comolli, giornalista e viaggiatore occidentale, riflette su convergenze e divergenze dell’espressività occidentale ed orientale. Si affaccia così un grande tema: quello del raffronto, narrativo, compositivo, ma anche, se si vuole (ma Comolli è abbastanza saggio da non toccare frontalmente questo tema, mantenendo la freschezza di questo reportage “cinematografico”) culturale, che, personalmente, mi ha ribadito quanto potrebbe essere necessaria e stimolante l’elaborazione di uno sguardo critico e teorico capace di prefigurare una cinematografia comparata. Disciplina mancante, nelle università di tutto il mondo, della quale si possono trovare solo approcci singoli e delimitati, non una vera sistematizzazione.
Altro aspetto interessante è come Comolli abbia scritto questo libro a posteriori, a distanza di anni dalle proiezioni cui aveva assistito. Così il libro si costruisce attraverso un recupero di episodi nella memoria dell’autore, il cui lavoro giornalistico lo impegnava in altre ricerche rispetto a quelle cinematografiche. Tuttavia si tratta di un recupero privo di sforzo, grazie forse anche alla prosa fluida di Comolli. Il risultato è la chiarezza dei ricordi dei luoghi e delle immagini filmiche, la loro compartecipazione e le imprevedibili connessioni che l’autore ha vissuto, e di cui ci narra. Le immagini, così lontane nel tempo, sono riuscite a mantenere una presenza inaspettata, una forza che solitamente si è portati ad abbinare alle grandi opere cinematografiche. Certo è una memoria legata esclusivamente alla esperienza personale. Non alla persuasività della pubblicità, non alla diffusione del film di successo, non alla comodità dell’home video.
Il libro sembra guidato – lo sottolinea lo stesso autore – da una sostanziale casualità: quella che fa sorgere affinità tra un dipinto del grande maestro giapponese Utamaro e un filmetto amatoriale di un inglese trapiantato a Bali. Attraverso la casualità si notano alcune coincidenze, e, a partire da queste, Comolli sviluppa le proprie riflessioni attraverso una scrittura filmica che tocca gli argomenti delle visioni cinematografiche cui ha assistito, ma anche le avvolge in divagazioni che in realtà legano le immagini ai luoghi in cui sono state proiettate fino a giungere ad altre visioni (non necessariamente cinematografiche), in altri luoghi, e ad un loro inevitabile confronto. Avviene uno scambio, così come la visione di un film può legarsi al luogo in cui la visione ha luogo (per esempio nei pressi di Sligo, in Irlanda, la visione di un breve filmato “turistico” da cui affiora inaspettatamente la voce del poeta Yeats), così questo stesso filmato dà luogo a una riflessione e a suggestioni capaci di fare riaffiorare i ricordi di un viaggio in India precedente di molti anni. Le suggestioni si concatenano: quelle cinematografiche hanno la stessa importanza di quelle dei suoni, degli odori, del paesaggio, delle voci e delle persone incontrate. Il cinema, questo cinema “minore”, è dunque qualcosa di vivo. Vitalità mantenuta sfuggendo all’apparato cinematografico spettacolare, in grado tuttavia di sollecitare suggestioni e riflessioni in spettatori disposti a lasciarsi sorprendere.