di Jessica Pini
Per una parte della critica l’opera di ogni artista non può prescendere da cenni autobiografici più o meno consapevoli. E il cinema di Pupi Avati sembra proprio avvalorare questa tesi in un fitto intreccio tra la vita autobiografica del regista e la realtà inventata dei suoi film. Un intreccio ripercorso nella mostra Pupi Avati. Parenti, amici e altri estranei, curata dal giornalista e critico cinematografico Andrea Maioli per la Cineteca di Bologna (Bologna, palazzo D’Accursio 2 che2 giugno – 14 agosto 2014), dove, attraverso la suddivisione in nove sezioni tematiche, si dipiegano i legami tra il regista e i suoi personaggi, reali o inventati. La mostra propone infatti una selezione di foto di scena dei film diretti da Avati raffrontate con alcune delle immagini personali, dell’archivio romano di famiglia, aperto al curatore da Pupi e dal fratello Antonio. Un percorso parallelo tra finzione cinematografica e momenti di vita vissuta in cui spesso le immagini si sovrappongono con volti e situazioni riemergono nella creazione filmica. Una pellicola srotolata guida il visitatore tra film, fotografie, sogni e realtà: come recita il sottotitolo di questo omaggio a un a utore che si è mosso, racconta Maioli «sulla linea di confine, spesso linea d’ombra, tra reale e irreale, tra biografia e fanta-biografia, tra verità e bugia. L’autobiografismo dichiarato nasconde trappole e trabocchetti. È tutto vero si affretta a dichiarare l’autore, ma non credetegli. La sua memoria cinematografica e visionaria si compone di tasselli che vanno a formare un puzzle più complesso di quanto possa sembrare a una frettolosa e disattenta visione. Smarrisce volontariamente i confini dell’autobiografia per attingere a quelli della fantasia, dando vita di volta in volta a una creatura di Frankenstein che si compone di frammenti di pelle e di vissuto».
E del resto è lo stesso Federico Fellini che ci mette in guardia (o volutamente ci depista) quando diceva che il regista è un grande bugiardo, finendo poi per celare dietro le sue storie visionarie e oniriche riferimenti privatissimi, come di ricente rivelato da Gianfranco Angelucci in Segreti e bugie di Federico Fellini
Le nove aree tematiche della mostra vanno dai volti umani, talvolta grotteschi, in abiti vintage o di carnevale di Parenti, amici e altri estranei alle foto di gruppo (Sorridete…); c’è poi Interno-Esterno, i due poli di una sceneggiatura cinematografica, con ambienti di case vecchie e moderne o abitazioni viste dall’esterno e paesaggi, per rientrare nelle case con il rito di famiglia per eccellenza, A tavola! e il ballo (Avvolti nel tepore del ballo). Almeno una volta nella vita ci sono poi due appuntamenti ineludibili, o quasi, il matrimonio e la morte. E qui si pone la Questione di fede: credere o non credere! Si prosegue ancora Sulla strada e Altrove. Infine il percorso si conclude con la riproduzione di una “via degli angeli”: una parete di ritratti di amici e parenti incontrati dal regista nel corso della sua vita che realmente converva nella sua stanza da letto come una sorta di Camera verde alla Truffaut.