di Katia Ceccarelli.
Recensione a: “Una nobile rivoluzione” di Simone Cangelosi.
Sembra un personaggio di Virginia Woolf, Marcella Di Folco.
Anzi sembra proprio Orlando, creatura che nella finzione della scrittrice vive parte dell’esistenza con aspetto maschile e parte in forma di donna senza mai avere alcun dubbio su quale sia l’essenza della parola “Io”.
Nel romanzo il cambio di genere avviene in maniera indolore quasi magica. Dopo una grande febbre e un lungo sonno, il nobile, ricco e bell’Orlando si risveglia e si ritrova nello specchio come donna eppure non si scompone perché sa che nulla è cambiato, è intelligente, bella e affascinante esattamente come lo era da uomo; sarà la società e solo quella a decretare che, in quanto donna, per Orlando le cose dovranno essere più complicate e dolorose.
Il cambio di sesso per Marcella e per tutte le persone che hanno incontrato e scelto lo stesso suo destino non è stato di certo una magia ma l’energia profusa nella lotta contro una società ghettizzante e giudicante è sì degna di un romanzo.
Nel lavoro di Simone Cangelosi contempliamo l’eccezionalità di Marcella Di Folco, persona che ha vissuto circa metà della sua esistenza in forma di uomo e l’altra in forma di donna dimostrando sempre inalterate e purissime le sue qualità carismatiche e di leadership.
Come viaggiando su una giostra incantata, l’eroina di questa storia vive tante vite e attraversa, mai inosservata, momenti e luoghi dal grande potere simbolico.
La Roma dei Parioli e del Piper, il cinema di Fellini in cui Marcella è un principe alto e longilineo con la faccia di un giovane Nerone e la divisa bianca di un sensuale Vronskij.
Nel viaggio a Roma alla ricerca del passato fa da guida la sorella di Marcella in una luce tanto limpida da evocare la pittura metafisica sebbene in realtà sia solo il pomeriggio della città inesorabilmente deserta in tempo di pennichella.
Qui si scende nelle catacombe del nostro tempo verso ciò che resta del Piper mentre i reduci si esortano a ricordare e recitano la nomenclatura dei vivi e dei morti perché come diceva Monsignor Colombo da Priverno: “I rivoluzionari morono a vent’anni pure quanno nun morono”.
La personale rivoluzione di Marcella inizia e culmina nella città che della rivoluzione ha fatto istituzione. A Bologna la vita in forma di donna e successivamente di attivista e di leader politico la porta fino al consiglio comunale come prima transessuale a essere eletta a una carica pubblica.
Una rivoluzione nobile e straordinaria nel senso di oltre l’ordinario in qualsiasi forma la si voglia vedere. Il film di Simone Cangelosi fonde interviste e filmati di giorni non comuni in compagnia di Marcella, testimonianze dirette, materiali d’archivio.
È difficile non ritrovare nelle scene a Roma citazioni e atmosfere di quel grande cinema di cui la Di Folco ha fatto parte, poi per un momento la vediamo radiosa donna e ci appare come una star di Andy Warhol ma non è New York che l’aspetta, piuttosto una Bologna in notturna dove i totem dell’istituzione sono luci a caratteri cubitali.
Se nella prima parte prevale lo stupore avvolto dalla nostalgia, nel documento del periodo bolognese si avvertono potenti la mestizia e il dolore per l’assenza. Un lavoro importante e utile per far conoscere e riconoscere il valore di un’esperienza grande e unica, per ricordare una figura nobile, senza ombra di dubbio, una principessa gigante capace di piangere circondata da un mare di ragù.
Una nobile rivoluzione è il titolo del documentario sulla vita di Marcella Di Folco, leader del movimento LGBT italiano scomparsa nel 2010, diretto da Simone Cangelosi, già autore del cortometraggio documentario Dalla testa ai piedi del 2007 scritto in collaborazione con Roberto Nisi, co-sceneggiatore anche di quest‘ultimo lavoro. Prodotto da Gianluca Buelli e Claudio Giapponesi per Pierrot e La Rosa e Kiné Società Cooperativa, il film, distribuito in Italia dalla Cineteca di Bologna a partire da marzo 2015 e a livello internazionale da The Open Reel, vanta nel suo cast tecnico personaggi di spicco del panorama televisivo e cinematografico nazionale. Menzioniamo, dunque, Debora Vrizzi (tra gli ultimi lavori, degno di menzione è Le radici dell’aria di Francesca Archibugi) alla fotografia e Fabio Bianchini Pepegna (da citare La rabbia di Pasolini per la regia di Giuseppe Bertolucci) al montaggio.
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